Intervista a Elisabetta Svaluto Moreolo, traduttrice dall'olandese

Argomento: L'intervista
Pubblicazione: 29 dicembre 2017

Elisabetta Svaluto Moreolo è traduttrice letteraria dall’olandese e docente di traduzione dall’olandese presso la Civica Scuola Superiore per Interpreti e Traduttori “Altiero Spinelli” della Fondazione Milano.

Elisabetta, tu hai tradotto in italiano tutti i romanzi di Kader Abdolah, tutti pubblicati da Iperborea. Dalla prima traduzione dei suoi romanzi fino a oggi, quanto è cambiato l'olandese di questo autore e la sua scrittura?

Ho conosciuto Abdolah attraverso la sua prima novella, Il viaggio delle bottiglie vuote. Lì l’autore si esprimeva in un olandese elementare, ma corretto, strutturato in frasi brevi, e che per ciò stesso risuonava pregnante, evocativo e poetico. Era caratterizzato da un patrimonio lessicale limitato, che conferiva alla sua scrittura un’allure lieve, laconica, che ben rendeva il suo malinconico, quando non sofferto, disorientamento di profugo in un paese geograficamente, linguisticamente e culturalmente molto lontano dalla sua terra di origine. Proprio in virtù della sua semplicità, il suo olandese risultava spiazzante, ineludibile. Inoltre restituiva molto bene l’immagine dell’Olanda vista con gli occhi di uno straniero. Romanzo dopo romanzo, pur mantenendo intatte alcune caratteristiche – il ricorso a principali correlate da congiunzioni semplici, lo stile disadorno, il tono spesso icastico, la ricerca poetica, un’aura mitica – la sua lingua si è via via strutturata e arricchita di nuovi vocaboli, permettendogli di dare vita a testi più articolati e di conferire maggiore profondità psicologica ai personaggi. Tuttavia, alcune formulazioni linguistiche e certe parole (come sostantivi e aggettivi riferiti a precisi oggetti e colori) ritornano in ogni romanzo e la scelta, in questi casi, è stata quella di mantenerli inalterati anche nelle traduzioni, nel tentativo di conservare i richiami interni nell’opera complessiva dello scrittore.

Qual è il tuo approccio traduttivo con i romanzi di Kader Abdolah?

Non è facile per me, italiana, cogliere l’effetto che la scrittura di Kader Abdolah suscita nel lettore olandese, e poi: in quale lettore olandese? Così come non è sempre facile, man mano che la sua conoscenza della lingua evolve, individuare dove e in che modo essa si differenzia dallo standard. Certo è che le sue scelte sintattiche e lessicali mostrano inconfondibili peculiarità e marcature che la distinguono da quella degli scrittori nativi. Per la traduzione in italiano sono vincolata dal lettore modello di Iperborea: un lettore di ampia/alta cultura, abituato a misurarsi con una letteratura basata su paradigmi di altre latitudini, e quindi particolarmente aperto al “diverso da sé”. Così ho adottato, per necessaria semplicità, una duplice strategia: da un lato, ho scelto di lavorare fianco a fianco con una traduttrice madrelingua olandese e appassionata lettrice, con una conoscenza molto buona dell’italiano; questa amica e collega, con la quale ho collaborato fino a questo romanzo, mi ha dato spesso il suo personale feedback del testo, soprattutto delle sue peculiarità linguistiche, aiutandomi anche a scegliere fra le varie opzioni di traduzione che le proponevo; dall’altro, ho isolato le dominanti stilistiche della prosa di Abdolah – scelte lessicali, sintattiche, ritmiche, parole tematiche – e ho cercato di riprodurle in italiano: questo ha significato optare per a) una prosa semplice e paratattica, strutturata spesso in frasi brevi, soprattutto nei primi romanzi; b) un lessico sobrio e poco variato; c) il ricorso alla ripetizione dei sostantivi (anziché ai pronomi), che fornisce alla scrittura il nitore di una lingua primigenia e al tempo stesso un ritmo incantatorio, tipico della fiaba, il modello narrativo a cui sono informate molte sue opere. In questo senso mi è stato utile anche leggere poesie della tradizione classica persiana, che lui spesso cita, o, per fare altri esempi, Persepolis il fumetto dell’illustratrice iraniana Marjane Satrapi, anche lei costretta a un precoce esilio in Occidente. O, ancora, vedere film iraniani o mostre sull’arte iraniana. Mi auguro, così, di essere riuscita a mantenere quanto meno l’impronta della lingua uscita dalla penna dell’autore e l’eco sorprendente, quando non straniante, del suo stile.

Perché Kader Abdolah ha scelto di scrivere in olandese e non nella sua lingua madre, o in una lingua a lui già nota come l’inglese?

Di questa sua scelta abbiamo parlato spesso fin dall’inizio della nostra condivisione dei suoi testi. Ha sempre ribadito la necessità primaria di scrivere in olandese in quanto “lingua della libertà”, l’unica nella quale poteva esprimersi: la sua madrelingua, il farsi era inquinata dall’uso che ne faceva il clero, che “l’aveva sequestrata”, trasformandola nella lingua del potere, dell’oppressione, del terrore e della negazione di ogni libertà civile”.

Quali sono state le tue scelte di traduzione di fronte agli elementi culturali e di fronte alla traslitterazione di alcune parole?

Nel caso dei realia e in generale per quanto attiene ogni riferimento culturale, centrale o periferico che sia, ho mantenuto in italiano i vocaboli che l’autore stesso aveva scelto di lasciare nella sua madrelingua nella versione olandese. Per fortuna il contesto, le spiegazioni o i glossari forniti dall’autore, o integrati da me, sono stati sempre sufficienti a permettere al lettore di orientarsi nella comprensione restando al tempo stesso immerso nella cultura di appartenenza dello scrittore, benché filtrata dalla lingua olandese: perché non possiamo dimenticare che l’opera letteraria di Kader Abdolah è un esempio di transculturalità: la sua sensibilità e la sua cultura arrivano in Italia per il tramite di una lingua e di una cultura terze, ovvero della lingua e della cultura olandese, il che ci dice molto sull’importanza delle lingue nel veicolare conoscenza e cultura. Senza dimenticare che, oltre a trasmetterci le radici della sua cultura di appartenenza, Abdolah ci trasmette anche una visione della cultura olandese mediata dal suo sguardo di straniero. Ma qui si aprirebbe un altro capitolo… Per i problemi di traslitterazione, mi sono affidata a Natalia Tornesello, docente di letteratura persiana dell’Università di Napoli L’Orientale, che ha garantito scelte univoche e coerenti. Sempre attraverso lunghe email e telefonate con Natalia Tornesello ho assunto da lei molte informazioni sulla tradizione letteraria persiana, che mi sono state utili a capire gli intenti letterari di Abdolah e, laddove necessario, esplicitarli in una postfazione. Analogamente è stato interessante dialogare, soprattutto per la traduzione del Re, forse il più articolato esempio, nell’opera di Abdolah, di vicenda storica romanzata (cui va aggiunto Salam, Europa, il suo ultimo romanzo, di prossima uscita sempre per Iperborea) con la storica e giornalista iraniana Farian Sabahi. Direi che da un punto di vista traduttologico, le opere di Abdolah richiedono, forse più di altre, studio e il concorso di diverse competenze e professionalità, comprese, non ultime, quelle del redattore e dell’Editore.

Come puoi descriverci la scelta stilistica nella scrittura di Kader Abdolah, quali gli elementi che mostrano la sua autorialità?

Nei suoi romanzi Abdolah adotta stilemi narrativi che trasportano il lettore in un mondo completamente diverso dal suo: per esempio, si rifà alla tradizione del racconto a cornice che in noi occidentali rievoca i Racconti delle Mille e una Notte; esprime un gusto per l’arte del narrare di sapore orientale, scegliendo, in alcuni casi, come nella Casa della Moschea o nel Messaggero, un approccio favolistico. I protagonisti dei suoi romanzi, come accade anche in Un pappagallo volò sull’IJssel, anch’esso ispirato al modello della fiaba, ma radicato nella storia contemporanea, sono sempre stranieri, portatori di una lingua, di tradizioni e di uno sguardo altro rispetto a quello olandese o occidentale. Stranieri che il destino ha fatto approdare nei Paesi Bassi, che parlano di usi e costumi persiani, delle vicende iraniane, dell’incontro con l’Occidente. Aggiungerei altre due considerazioni: la prima riguarda la sua scelta sempre più netta di intrecciare, nei suoi romanzi, realtà storica, esperienza biografica e fantasia: in questo connubio, la libertà che gli conferisce la lingua olandese gli permette di “sperimentare fino in fondo la fuga”, come ama ripetere e che resta un dramma sempre presente. La seconda considerazione riguarda un aspetto non meno importante: la sua letteratura è di per sé un veicolo di comunicazione e di incontro pacifico tra Oriente e Occidente, arte che si fa invito alla tolleranza e all’elaborazione dei mutamenti imposti dalla Storia.

Oltre al tema centrale dell’integrazione, quale altro tema importante è presente nei romanzi di Kader Abdolah?

Un altro tema fondamentale è quello della testimonianza: essere testimone della storia dell’Iran, ricordare e dare voce a chi non è sopravvissuto alle persecuzioni del regime degli Ayatollah, e infine essere testimone lucido e critico del proprio tempo.

Quale deve essere il bagaglio culturale di un traduttore per svolgere al meglio il suo mestiere?

Come dico ogni anno ai nuovi studenti del corso di mediazione linguistica e di traduzione editoriale alla Civica Scuola Superiore per Interpreti e Traduttori “Altiero Spinelli”, dove ho il privilegio di insegnare, i primi alleati di un traduttore sono la curiosità e la passione: curiosità e passione per la lettura – dal quotidiano ai supplementi culturali, dai romanzi ai saggi alla poesia; curiosità e passione per il cinema, il teatro, la musica, l’arte e, in generale, per il sapere: perché, per limitarmi alla narrativa, in uno stesso romanzo puoi trovarti di fronte a rimandi alla fisica, all’astronomia, ai dogmi e alle tradizioni di diversi credi religiosi, a riferimenti politici, a citazioni filosofiche, a richiami a eventi storici capitali o meno noti. Il traduttore deve possedere quella cultura generale che si stratifica negli anni e che, oltre ad arricchirlo e farlo crescere, affina la sua sensibilità, gli permette di orientarsi nelle ricerche e di capire, in determinate circostanze, “di non sapere”, e di avere quindi bisogno di avvalersi della consulenza di esperti della materia. Nel caso dei libri di Abdolah, ad esempio, è stato utile documentarsi sulle diverse correnti dell’Islam, sui rituali religiosi, sui codici vestimentari nei diversi paesi musulmani, ma anche sulle diverse correnti del protestantesimo, sulla storia dell’immigrazione nei Paesi Bassi, perfino sulla storia della prostituzione nell’Olanda di fine ‘800! Questo lavoro di ricerca, molto arricchente, ma anche dispendioso, spesso non appare agli occhi del lettore, ma è prezioso per tentare, nel limite del possibile, di evitare errori, travisamenti e per comprendere più a fondo gli intenti dello scrittore. Ed è senz’altro indispensabile nel caso si debba corredare la traduzione di apparati di note, prefazioni o postfazioni. Dando per scontata l’utilità di partecipare a convegni sulla traduzione, dove mettere a confronto visioni e problemi traduttologici, mi permetto, da ultimo, di sottolineare l’importanza di prendere visione delle traduzioni di colleghi di altre lingue, così come di far tesoro degli interventi della redazione o dell’Editore: solo così si scoprono i propri limiti, i propri difetti (la tendenza a riscrivere, censurare, addomesticare e così via), e ci si può arricchire attraverso il confronto con lo sguardo e l’approccio traduttivo altrui. Perché il lavoro del traduttore è solitario, ma non può essere autarchico.

Dal tuo punto di vista di docente, quanto sarebbe importante nelle scuole e università d’Europa e nel contesto italiano, nelle scuole e università d’Italia, formare delle classi di italiano per stranieri?

Sapersi esprimere nella lingua del paese in cui si risiede è fondamentale per accedere, in prospettiva, a una piena cittadinanza, o, più semplicemente, alla conoscenza di una mentalità, una cultura, valori e istituzioni diverse dalle proprie: scuole e università sono i luoghi deputati per eccellenza alla diffusione della conoscenza e l’esperienza del Progetto Erasmus è la più fulgida testimonianza di quanto lo studio e la vita in un paese straniero concorrano alla crescita e alla maturazione della libertà individuale, oltre a essersi dimostrato un indispensabile strumento di condivisione e tolleranza.