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Willard e i suoi trofei di bowling
di: Richard Brautigan
/ editore: Marcos y Marcos 2004
traduttore: Pietro Grossi - Traduzione dall'inglese
Indice dell'articolo
pag. 1 Nota del Traduttore
pag. 2 Pietro Grossi
Nota del Traduttore
Ti chiedi cosa c'è nei romanzi ambientati in California, e non lo capisci finché
non ci vai. Un po' come con quelli sudamericani: ti domandi mentre li leggi come
fanno tutti ad avere quella stessa patina agrodolce e magica. Poi ci vai, in Sudamerica,
e a quella domanda non sai dare una risposta logica, ma lo capisci. Anche coi
californiani succede allo stesso modo. Leggi Fante, Bukowski, Brautigan e ti domandi
cos'è che li lega, cos'è quel qualcosa che mentre li leggi ti entra nelle viscere.
Poi vai anche lì, in California - per fortuna sei uno che viaggia parecchio -
e lo capisci, non lo sai spiegare ma lo capisci. È nell'aria, nel clima che non
cambia mai, in quel sole che ti culla e ti perseguita di continuo, in quella leggera
afa che non sbiadisce mai e che alla fine uniforma un po' tutto. È come se quell'infinita
primavera appiattisse ogni cosa, e formasse il terreno perfetto per illuminare
le storie. È questa la prima cosa di cui mi sono innamorato quando ho letto Brautigan.
Mi avevano parlato di Sognando Babilonia, un libro mai tradotto in Italia. Lo lessi e ci ritrovai quella California,
quell'aria immobile che avevo già sentito sulla pelle, con Fante e con Bukowski
e con tutti gli altri. L'unico italiano che mi viene in mente è De Carlo, con
il suo Treno di panna; non me lo ricordo granché quel libro, ma ricordo che si respirava quella stessa
atmosfera. Infatti era ambientato a Los Angeles. Brautigan però fa un passo in
più: prende i suoi personaggi, le sue storie, le infila in quell'aria e le trascina
un pelo più lontano, le porta ai confini di quella realtà, dove accadono eventi
bizzarri. Non so, forse se non fosse per quell'aria di cui si intingono non ci
crederesti nemmeno. In Sognando Babilonia prende un detective sbrindellato, lo fa perdere per ore intere nei suoi mondi
immaginari - Babilonia - e gli fa mandare a rotoli la sua vita. In Willard e i suoi trofei di bowling porta tutti i suoi personaggi in quella zona, li lega insieme e li sbatte laggiù
al confine. Willard è un uccello di cartapesta e i trofei di bowling sono il suo
regno. I trofei di bowling sono stati rubati a tre fratelli, tre tranquilli e
sereni fratelli americani che non fanno altro che giocare a bowling, che si trovano
a girare gli Stati Uniti in cerca dei loro trofei, decadendo nel furto e nell'omicidio.
Willard vive con i suoi trofei in casa di John e Pat, al primo piano di una villetta
di San Francisco. Al secondo e ultimo piano vivono Bob e Constance. Bob ha le
verruche nel pene. Le ha prese da Constance. Bob era una di quelle persone che
sanno sempre cosa fare e cosa dire, di quelle su cui ti puoi appoggiare. Ma da
quando si è preso le verruche al pene diventa un cerebroleso, schiavo delle sue
verruche e degli squallidi giochini sadomaso che è costretto a mandare avanti
con la sua fidanzata pur di mantenere un qualsiasi rapporto di letto, schiavo
dei preservativi e delle corde e dei bavagli e di tutta la sua improvvisa incapacità
a vivere, pure a farsi un panino. Mi piacerebbe poter dire che questo fiume di
decadenza si risolve infine per il meglio, ma purtroppo non posso. Quella calma
Californiana trascina tutto in un abisso. Willard è un noir, e come ogni noir
non vede finire il suo percorso che in una morte tragica. Io non sono convinto
di amare i noir, ma so che mi piace come Brautigan ti porta avanti, raccontandoti
le sue storie come se le raccontasse a un bambino, o come se fosse un bambino
a raccontarle, e non manca mai di farti fare due risate. Forse lo noto più io
che l'ho tradotto, e se ripenso a quei giorni era carino alzarsi la mattina e
trovare le parole per rendere le sue pennellate, i suoi modi di dire, le sue descrizioni
mai banali. Ha la capacità di sorprenderti sempre, il buon Richard, e lo fa come
tutti loro che respirano l'aria del pacifico: così come gli viene, di stomaco,
senza perdersi in chiacchiere. E quando chiudi il libro, quando hai finito di
farti quelle due risate e di storcere la bocca talvolta imbarazzato e di credere
tuo malgrado a tutto ciò che ti racconta, rimani qualche minuto fermo a guardare
fuori dalla finestra, a chiederti se lì tra quelle pagine c'è qualcosa di più,
un messaggio cifrato che ti attorciglia lo stomaco. E ti dici di sì. Quale sia,
ognuno poi se lo racconta per conto suo. Io mi sa che lo devo ancora capire.
Pietro Grossi
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