Agatha Raisin e la strega di Wyckhadden

Traduzione da: Letteratura scozzese

Sono diventata Agatha Raisin cinque anni fa, quando dalla mia scrivania milanese mi sono trovata per la prima volta proiettata nelle campagne dei Cotswolds nei panni di una ruvida signora di origini proletarie, diventata imprenditrice di successo e poi investigatrice per caso. È stato un amore a prima vista per più di un motivo. Il primo è Agatha Raisin, cresciuta nei bassifondi di Birmingham, come carattere mi somiglia – ogni tanto entrambe ringhiamo, e in genere non abbiamo peli sulla lingua (lei però è una tabagista accanita, e io no). Il secondo è che adoro tradurre i libri divertenti, e la serie di avventure di Agatha Raisin pur svolgendosi tra cadaveri sparsi qui e là per le campagne inglesi è estremamente divertente. Il terzo è che sono un'anglofila incallita, e i Cotswolds e questa serie di noir-gialli-rosa rappresentano un'inglesità quasi da manuale. Noir-gialli-rosa: li chiamo così perché in effetti sono di difficile definizione. A questo punto io ho finito di tradurre il decimo volume della serie, che uscirà tra qualche mese: è uscito da poco il nono, "Agatha Raisin e la strega di Wyckhadden", in cui una disperata e semicalva Agatha, vittima di una parrucchiera malvagia, si è rifugiata tra gli anziani e noiosissimi ospiti invernali di una località balneare inglese. Si è realizzata ormai la condizione ideale per il traduttore, ovvero la totale identificazione con il personaggio. E in effetti i fan di Agatha (sono soprattutto donne) che mi conoscono personalmente confessano di sentire, mentre leggono, la mia voce. Io odio James, che fa soffrire Agatha: al decimo volume lo prenderei a calci, come prenderei a calci le rivali in amore della nostra eroina. Adoro la fedele e dolce signora Bloxby, ma non suo marito, l'acido pastore di Carsely, e detesto il viscido Roy Silver, ex dipendente di Agatha. Non ho più bisogno di immedesimarmi nella situazione, e di entrare nella testa di Agatha per farla parlare in italiano: Agatha è lì, e casomai devo ricordarmi di andarmene dai Cotswolds alla fine del libro. Tra l'altro credo che prima o poi ci farò un pellegrinaggio a ingozzarmi di scones appena sfornati con la panna. Dal punto di vista professionale, la serie di avventure di Agatha Raisin presenta un unico problema: pensavo si trattasse di una mia fisima, invece un giorno chiedendo aiuto su un forum internazionale di traduttori ho conosciuto il traduttore polacco di Agatha, e abbiamo scambiato due chiacchiere telematiche, scoprendo che la vedevamo allo stesso modo, ovvero che lo stile di Agatha andava "tirato un po’ su". In questa serie l’autrice M.C. Beaton bada molto al sodo, il lettore viene conquistato con le trame vivaci e con la simpatia/antipatia dei personaggi, e non con l’eleganza della prosa, che è abbastanza sbrigativa. In italiano (e in polacco, come abbiamo scoperto) una traduzione molto letterale darebbe un’idea di sciatteria, quindi bisogna lavorare un po’ di aggettivi e sul ritmo delle frasi che a volte sono troppo sincopate. Non starebbe a me dirlo, ma penso che il risultato sia molto gradevole, tanto è vero che si è creato un giro di tifose e tifosi di Agatha, che mi scrivono in privato per accertarsi che io stia traducendo senza perdere tempo, perché loro sono già in crisi d’astinenza. Non posso lamentarmi perché faccio a mia volta la stessa cosa, perseguitando con lacrimevoli e ansiosi messaggi privati alcune traduttrici di gialli nordici, e in particolare Carmen Giorgetti Cima e Eva Kampmann.

Marina Morpurgo

Editore di Agatha Raisin e la strega di Wyckhadden