Tre anni luce / Three Light-Years

Argomento: Romanzo
Autore: Andrea Canobbio
Pubblicazione: 5 marzo 2019

Ogni lettore sa che alcuni romanzi sono scritti secondo una trama guidata, altri lo sono nei personaggi. E altri ancora lo sono nella lingua: per gli autori che edulcorano ogni sfumatura vorremmo allora soffermarci su ogni parola e spesso torniamo a rileggere quella frase che abbiamo appena letto perché vorremmo riassaporarla di nuovo. Tre anni luce di Andrea Canobbio (Feltrinelli, 2013) rientra a mio avviso in quest’ultima categoria. Certo, la trama è importante e la descrizione dei personaggi è notevole, ma tra lo stile e la storia, vince lo stile, senza dubbio. Non voglio dire con questo che l’autore si sia impegnato in giochi pirotecnici o in acrobazie stilistiche. No, assolutamente. La lingua di Canobbio è raffinata e riservata, sempre contenuta. Non c’è la minima ostentazione o stravaganza e niente di sgargiante nella trasposizione in inglese. La mia editor presso Farrar Straus & Giroux conosce l’italiano e mi ha raccontato di traduzioni dall’italiano a volte con troppi orpelli in inglese: “L’espressività in italiano può diventare fiorita e inappropriata in inglese.” Non c’è stata la minima probabilità che questo accadesse nel tradurre la prosa elegante e riservata di Canobbio.

In un certo senso, la lingua in sé, il tono distanziato che Canobbio evoca, potrebbero dare l’impressione che i personaggi siano costruiti, a questo fanno eco la reticenza e diffidenza del protagnista Claudio Viberti, il “timido e riservato internista” per cui la cauta limitazione lo trattiene dal rivelare i propri sentimenti a Cecilia, un medico dello stesso ospedale. I due corpi sono fatti l’uno per l’altra, tuttavia la reciproca attrazione, sebbene intensa, non riesce a manifestarsi, è come una costellazione le cui linee vengono cancellate: la reciproca cautela gli fa mantenere le distanze. Roberto Ferrucci, in un’intervista a L’Indice dei libri del mese scrive: “Canobbio attraversa le vite con una scrittura apparentemente piana, priva di picchi, apparentemente adeguata alla scansione che della propria vita danno i personaggi del libro. Ma solo apparentemente, perché poi ci vuole grande maestria a mantenere costante quell’andatura e, soprattutto, riuscire ugualmente a tenere legato il lettore al testo, attraverso la pura forza della scrittura.” La grazia e la bellezza della prosa di Canobbio pesano molto nella scrittura: la “lirica ha un uso paziente delle parole, delle metafore”, come sostiene la mia editor.

C’è inoltre un’evidente chiarezza e precisione nella sua scrittura, una qualità meticolosa. Il revisore di Three Light-Years, Anna Atie scrive su Doppiozero: “La scrittura di Canobbio è sempre minuta, precisa, atta a definire con straordinaria abilità luoghi (sullo sfondo, una città di fiume la cui dolcezza del profilo sembra alludere a Torino) e stati dell’anima che non si presentano mai immediatamente e completamente decifrabili alla coscienza. La grazia di uno stile ben temperato, e una chiarezza stessa della lingua che ricorda da vicino quel petit pan de mur jaune, il lumen riflesso nello specchio convesso di un maestro olandese.” Il riferimento alla pittura olandese rimanda a Proust con il “petit pan de mur jaune” con cui allude a una tela di Vermeer “Veduta di Delft”, mentre il “lumen riflesso nello specchio convesso” evoca la tecnica dei maestri olandesi nel riflettere la luce, lumen o splendore, piuttosto che lux, la luce naturale e l’ombra preferite dai pittori del Rinascimento. C’è stato in effetti un lungo dibattito sull’uso o meno da parte di Vermeer di una camera oscura per catturare la luce e riportarne il dettaglio sulle tele. Il revisore sembra dire che lo stile di Canobbio ha una lucidità e un’esattezza che rimandano a quel lumen.

Con il testo a fronte, come può il compito del traduttore non diventare una sfida e un diletto? Il diletto di assaporare la ricchezza e la suggestione nelle parole dell’autore con infinite possibilità di senso e la sfida di farle rivivere, trasformate, in un’altra lingua. Come disse Emily Dickinson: A little overflowing word … As eloquent appears. (“Una piccola parola traboccante… Come eloquente appare”).