Gli inganni di Dorchester Terrace

Argomento: Giallo
Autore: Anne Perry
Pubblicazione: 5 ottobre 2015
Sono contento di scrivere della mia esperienza degli ultimi anni nel tradurre i romanzi della Anne Perry per il Giallo Mondadori, e fare due o tre osservazioni su un lavoro che presenta degli aspetti forse interessanti anche per altri traduttori. Si è trattato infatti di rendere in italiano un’autrice anglosassone di letteratura popolare, di bello status fra gli appassionati del poliziesco storico, genere che adopera dei protocolli stilistici piuttosto rigidi; ma soprattutto, si è data l’occasione di farlo lavorando sulla lunga distanza, per entro due distinti cicli narrativi per un totale, finora, di sei romanzi. I due cicli vedono in azione due coppie di investigatori, William e Hester Monk il primo, ambientato nei primi decenni dell’età vittoriana, e Thomas e Charlotte Pitt il secondo, all’apogeo e già verso il tramonto di quel regno lunghissimo. Affiancano i protagonisti famigliari e comprimari ricorrenti, che acquistano diverso peso di libro in libro assurgendo spesso a ruolo di protagonisti. Mentre ogni romanzo ha una sua autonomia narrativa entro il ciclo, sono forti i richiami intertestuali, che dunque vincolano di necessità il traduttore. Si sarà già capito: la produzione di Anne Perry è fluviale e di portata costante, come è costante la sua ambientazione nell’Inghilterra vittoriana; una caratteristica fluviale, a momenti un po’ torbida e disordinata, a momenti soltanto indistinta, si può riconoscere anche nella sua prosa. Questi caratteri, più le marche stilistiche o per meglio dire di produzione del testo che ricorrono in tutti i suoi libri, rendono difficile, nel parlare del lavoro su questi testi, isolare un libro dagli altri, perché l’impressione che il lettore ne ha (e tanto più il traduttore) è quella di una sola e medesima matrice narrativa e storica dalla quale, di volta in volta, il romanzo isola e fa emergere un intreccio. Tuttavia, per comodità di discorso, ho compiuto i rilievi che seguono tenendo sotto gli occhi in particolare Dorchester Terrace del 2013 (trad. it. Gli inganni di Dorchester Terrace, Giallo Mondadori 3128), che è l’ultimo suo libro uscito in Italia e che appartiene al ciclo di Thomas e Charlotte Pitt. In questi romanzi storici, così saldamente inscritti nel genere della detective fiction, il livello dominante è quello dell’intreccio, della trama, che è sempre ingegnosamente avviluppata e non di rado complicata da richiami o addirittura agganci ai romanzi precedenti del medesimo ciclo. I personaggi, viceversa, non vi appaiono molto più che funzioni narrative e tipi psicologici e sociologici. Per esempio, Pitt e Monk, i due detective, sono uomini d’azione self made, di origine proletaria, messi a ogni passo a confronto e sovente a contrasto con il sistema sociale rigidamente gerarchico e con l’ipocrisia sociale dell’epoca vittoriana; le loro compagne Charlotte e Hester, sono figure in una vivacemente scolpite e piuttosto idealizzate di compagne, nonché madri, devote e allo stesso tempo di donne forti e indipendenti, con un insolito streak di passionalità che soltanto i forti protocolli del genere e forse qualche freno dell’Autrice impediscono si manifesti come sensualità aperta. Con dei personaggi, dunque, così emblematici e sguarniti di una vera dinamica interiore, la resa psicologica che l’Autrice ne dà è, con molta abilità, tutta visiva, fenomenica, fisica, in una descrizione continua e cavillosa, ossessiva si potrebbe dire, della prossemica e del gesto. Un dialogo di uno di questi romanzi si appoggia e si completa con un repertorio fisico insolitamente ricco di reazioni fisiche: alzarsi e curvarsi di spalle, inarcarsi di sopracciglia, ricadere di palpebre, tremare di labbra, corrugarsi di fronti, contrarsi di pugni («finché le unghie non entrarono nei palmi»), rivoltarsi di stomaci; di processi metabolici – sudori caldi, freddi e gelati; e con una colorita enciclopedia degli sguardi e dei toni di voce, tale da mettere alla prova il traduttore, il quale farà ricorso alla sua conoscenza delle traduzioni italiane, per dire, di Dickens e di Trollope e anche di narrative di genere assai meno qualificate, ma che, dopo alcune centinaia di pagine tradotte, sarà anche portato a fare una riflessione di metodo. L’aggettivazione della Perry, per variegata che sia, finisce con l’essere abbastanza presto ripetitiva, fossilizzata, assumendo in pratica il valore della sfraghìs omerica, quel dispositivo aggettivale per la quale la «mano» è sempre «robusta» anche quando sia di fanciulla. Il traduttore vorrà dunque tenere a redini strette la sua inclinazione, che è poi anche il suo orgoglio professionale, alla variazione, in vista di una più alta fedeltà agli scopi espressivi del testo. È con questo arsenale di espressioni formulari, più altre che, ingegnosamente, incorporano nozioni di psicologia e sociologia anacronisticamente pop, che Anne Perry dipinge in very broad strokes i suoi affreschi, che risultano per questo stranamente emotivi, soprattutto nei temi della violenza efferata applicata a donne e bambini, allo stesso tempo ingenerando un senso di rigidità, di alienazione e di claustrofobia. È quella l’atmosfera che Anne Perry evidentemente intende restituire dell’epoca e dell’ambiente; un mondo in cui il dentro e il fuori, così come il sopra e il sotto dei rapporti sociali, sono precisissimamente delimitati, senza possibilità di evasione se non nella lacerazione del tessuto sociale – sempre minacciata e sempre evitata – o nel sintomo nevrotico manifestato da una semiotica fisica a momenti forsennata. Nel rendere tutto questo, io ho cercato per esempio di evitare una resa troppo, e fintamente, naturale dei dialoghi, così come di innalzare la prosa, a momenti un po’ faticosa, perfino pedestre, al livello dei suoi modelli più nobili: in questo mi ha giovato tenere conto delle esortazioni, gentili ma ferme, della curatrice Cristina Magagnoli, avvedutasi per tempo di certe mie dubbie debolezze stilistiche. Chi conosca di quest’Autrice la molto insolita e terribile vicenda biografica potrà trarne le conclusioni che vuole. Questa, però non è più materia del traduttore.