Intervista a Ilide Carmignani, ispanista e traduttrice di Luis Sepúlveda

Argomento: L'intervista
Pubblicazione: 2 novembre 2005

Si è conclusa da poco a Urbino la terza edizione delle Giornate della Traduzione Letteraria. Era presente anche Luis Sepúlveda, il tuo autore di riferimento in quanto traduttrice e ispanista. In che misura ti senti coinvolta nel successo dei suoi romanzi in Italia?

Per me è stato un privilegio tradurre uno scrittore come Sepúlveda, non solo per la fortuna professionale che comporta lavorare su un nome così famoso, ma perché ha una tale forza espressiva da affascinare il lettore anche attraverso la più grigia delle traduzioni.

Conosci personalmente i traduttori di Sepúlveda in altri paesi?

Sì, ho avuto modo di conoscerne vari prima a un seminario torinese del Grinzane Cavour e poi a un incontro sulla traduzione letteraria che Sepúlveda ha organizzato qualche anno fa a Gijón, all'interno del suo Salón del Libro. E' stato molto interessante. Con l'inglese Peter Bush siamo diventati amici e collaboriamo in vario modo.

Oltre ad essere traduttrice sei anche docente all'Università di Pisa. È importante che gli studenti conoscano i vari aspetti di questo settore già prima di laurearsi, secondo te quanto si sentono motivati a seguire eventi come le Giornate di Urbino e i seminari dell'AutoreInvisibile durante la Fiera del Libro di Torino?

Vedo che gli studenti più appassionati vengono sempre, ma il nostro pubblico resta formato da persone che si sono ormai lasciate gli studi alle spalle.

In questi ultimi anni i traduttori riescono finalmente a far parlare di se', a tuo avviso è cambiato qualcosa?

Credo che la categoria, piano piano, stia raggiungendo una certa consapevolezza professionale. Non siamo più traduttori per caso come chi ci ha preceduto. E questo porta i suoi frutti. Certo, come ha detto scherzosamente Marino Sinibaldi alle Giornate 2004, dobbiamo fare ancora molto "clubbing, lobbying e bombing".

Quali sono stati i tuoi esordi in traduzione?

Il mio primo libro è stato Ocnos di Luis Cernuda, una raffinata raccolta di poemi in prosa che ho tradotto con grande audacia l'estate in cui mi sono laureata, in giardino, senza avere la più pallida idea di quale fosse la situazione dei diritti e senza uno straccio di editore. Poi sono andata a perfezionarmi alla Brown University, negli Stati Uniti, e al mio ritorno ho bussato alle porte di alcune case editrici con questa e altre proposte sotto il braccio. E' andata bene, Michele Riva mi ha affidato un'autobiografia, e da allora non ho più smesso di tradurre. Sono stata molto fortunata.

Un traduttore migliora la sua professionalità solo traducendo oppure è giusto che abbia una formazione continua, per confrontarsi con altri traduttori?

Una formazione permanente sarebbe l'ideale, è ovvio. Per quanto mi riguarda, trovo sempre molto interessante in questo senso la Summer School del British Centre for Literary Translation.

Un accenno?

Ogni estate, il BCLT, che è stato fondato nel 1989 dallo scrittore tedesco W.G.Sebald con il sostegno dell'Arts Council e dell'Unione Europea e oggi è diretto da Amanda Hopkinson, riunisce presso l'Università della East Anglia traduttori, scrittori e studiosi di tutto il mondo per una settimana di seminari, incontri e tavole rotonde sulla traduzione. E' un confronto estremamente interessante, uno scambio di esperienze molto proficuo.

In quanto traduttrice puoi considerarti affermata, hai mai sognato di voler fare anche altro?

Non lo so, chissà, forse un domani, ma smettere di tradurre mai.