ROMANZO |

 |
Il giardino perduto
di: Helen Humphreys
/ editore: Playground, 2009
traduttore: Carlotta Scarlata - Traduzione dall'inglese
Indice dell'articolo
pag. 1 La Nota del Traduttore, Carlotta Scarlata
pag. 2 La Nota del Redattore, Ana Ciurans
La Nota del Traduttore, Carlotta Scarlata
L’anno scorso la casa editrice Playground ha pubblicato un romanzo di una scrittrice
canadese ancora sconosciuta in Italia, Helen Humphreys, si trattava di Cani selvaggi, ed ha avuto su di me e su tutti quelli che lo hanno letto, un impatto talmente
viscerale che, quando mi è stato chiesto di occuparmi della traduzione di un secondo
testo della stessa autrice, mi aspettavo qualcosa di altrettanto istintivo e assoluto.
Ma Il giardino perduto è riuscito a stupirmi. È stato scritto nel 2002, due anni prima di Cani selvaggi, e pur contenendo molti dei temi diventati poi centrali in quest’ultimo, si
presenta come un’esperienza molto più rarefatta, delicata e intima del primo libro
pubblicato da Playground.
Il romanzo si apre sulla protagonista, Gwen Davis, che abbandona una Londra martoriata
dai bombardamenti tedeschi, per recarsi in una tenuta requisita del Devonshire
e assumere il comando di un gruppo di ragazze, reclutate per contribuire allo
sforzo bellico coltivando patate.
Nella tenuta, Gwen scoprirà un misterioso giardino abbandonato, che costituirà
per lei un vero e proprio rebus floreale e che coltiverà con amore fino a considerarlo
la propria casa. Col passare dei giorni, Gwen, che fino ad allora era stata una
creatura diffidente e solitaria, conquisterà anche l’amicizia di Jane. Una ragazza,
che con la sua forza nevrotica e la sua travolgente schiettezza, sembra presentarsi
come l’esatto opposto della protagonista, ma che, in realtà, manifesta solamente
in modo diverso lo stesso fondamentale bisogno che tortura la schiva Gwen, quello
di amare ed essere amata.
E nella tenuta, Gwen incontrerà anche l’amore, un amore represso e quindi ancora
più appassionato, il sentimento insicuro e tormentato di una donna, che è sempre
stata esiliata da ogni calore, a cominciare da quello materno.
La Gwen di Helen Humphreys è un personaggio magnifico, una donna malinconica,
disperatamente e silenziosamente affamata di vita, piena di sincera ammirazione
per la bellezza, quella della natura e anche quella umana, ma dolorosamente consapevole
di essere una creatura “ordinaria”, bandita alla nascita dal suo regno. Un ritratto
delicato e tormentato, degno delle donne grigie e formidabili di Barbara Pym o
di quelle inquiete di Christa Wolf.
La scrittura della Humphreys, sempre e comunque asciutta e minimale, assume già
dalle prime righe il colore ellittico e la potenza evocativa della poesia, ed
è proprio la poesia, insieme alle piante e al loro simbolismo, a costituire un
fil rouge che guida il lettore attraverso la scarna, ma appassionante trama del romanzo.
Non a caso su tutta la storia aleggia, quasi a mo’ di nume tutelare, la fantasmagorica
figura di Virginia Woolf.
Tradurre questo libro non è stato un laborioso parto, come spesso accade; le
parole si sono concatenate in frasi con naturalezza, vuoi per la nitidezza di
scrittura della Humphreys, vuoi per la capacità del personaggio di Gwen di avviluppare
il lettore, e a maggior ragione il traduttore, in un immediato turbine di empatia,
è facile vedere il mondo con gli occhi di questa donna. La mia maggiore preoccupazione,
ad una prima lettura del testo, era stata quella di non riuscire a rendere efficacemente
l’intensità della “prosa poetica” della Humphreys, ma mentre traducevo mi sono
accorta che bastava assecondare le emozioni che di volta in volta il romanzo produceva
in me, per riuscire a trovare le parole che mi sembravano più adatte a descriverle.
|
|
Aiutati nella ricerca con i campi qui sotto, sarà molto più veloce.
|