
ROMANZO
Zelary
di: Kveta legatova
/ editore: Nottetempo, 2009
traduttore: Raffaella Belletti - Traduzione dal ceco
pag. 1 Nota del Traduttore, Raffaella Belletti
“Želary” è il secondo libro di Kvĕta Legátová, dopo “La Moglie di Joza”. I due
libri, originariamente pubblicati in ordine inverso, compongono un breve ciclo
narrativo che ha come elementi comuni ambientazione geografica, atmosfere e alcuni
personaggi. Quando nel 2001 apparve per la prima volta la raccolta “Želary”, Kvĕta
Legátová allora ottantaduenne, era praticamente sconosciuta. Ciò nonostante il
libro, stampato in un’esigua tiratura di 400 copie, divenne un vero e proprio
caso letterario, riportando un notevole successo sia di critica e sia di pubblico
e procurando all’autrice una grande popolarità.
Si tratta di una raccolta di storie crude e liriche ambientate negli anni ’30
a Želary, piccolo villaggio dell’isolata e misera area delle montagne morave.
Zona molto familiare all’autrice, poiché qui è stata insegnante per molti anni
in piccole scuole di paese, riportandone una serie di esperienze che l’hanno segnata
profondamente entrando in contatto con gente di “un’immensa ricchezza, nonostante
l’onnipresente povertà”. Proprio da queste esperienze è nata la raccolta, scritta
negli anni ’70 e pubblicata solo trent’anni più tardi, lievemente rimaneggiata.
Ne sono protagonisti uomini e donne ruvidi (ma non vanno tralasciati i bambini,
di cui la Legátová dà struggenti ritratti), che conducono un’esistenza dura, perseguitati
dalla miseria e segnati dai pregiudizi dell’ambiente ristretto, ma pieni di umanità.
Gli stessi personaggi appaiono spesso nei vari racconti, le loro storie si intrecciano
andando a comporre un mosaico coeso, armonioso. A volte il lettore viene a conoscenza
delle conseguenze di un avvenimento soltanto in un racconto successivo. E in effetti,
più che di composizioni a sé stanti, si può forse parlare di romanzo “sui generis”.
Tante le storie e tanti i personaggi: Žena la Contasoldi, il fabbro Joza (protagonista
anche in “La Moglie di Joza”), l’ingegner Šelda, Lucka la guaritrice, Honza il
Buffone e la dolcissima Helenka, maestro e prete del villaggio… Un ruolo fondamentale
giocano i luoghi: Želary dal fascino crudele e un paesaggio descritto dall’autrice
con particolare attenzione. Il succedersi dei cicli naturali e lo scorrere del
tempo accompagnano costantemente la narrazione, scandendone quasi il ritmo. Uno
dei tratti più interessanti del libro è proprio l’originale fusione tra il racconto
naturalistico, rurale, di fine Ottocento e procedimenti stilistici di grande modernità.
La realtà dura, spesso spietata in cui vivono i personaggi è descritta in uno
stile sobrio, quasi scarno, realistico, avulso da qualsiasi sentimentalismo e
al tempo stesso pieno di poesia, di lirismo. Sotto il realismo implacabile del
testo il lettore avverte la simpatia e la comprensione dell’autrice per i personaggi
provati dalla sorte. La loro presenza in diversi racconti le permette inoltre
di analizzarne le sfaccettature del carattere da più punti di osservazione, con
un ricorrente alternarsi di presente e passato.
In entrambi i libri dell’autrice, la resa italiana è stata piuttosto difficile.
Nella nostra lingua è impossibile riprodurre tanta ricchezza semantica con due
o tre parole, come nell’originale, o ricreare immagini a volte criptiche, ed è
stata una gran fatica cercare di limitarsi, di non spiegare troppo, di non rendere
il testo prolisso e i dialoghi troppo lunghi. Un grosso problema sono stati i
tempi verbali. Kvĕta Legátová usa una miscela molto equilibrata di passati, presenti
storici e futuri, dosando gli aspetti perfettivi e imperfettivi. Renderli nella
nostra lingua è impresa ardua. Ho dovuto fare un grosso sforzo per non italianizzare
troppo la struttura della frase e del periodo, che nella Legátová non è mai casuale,
rischiando – nel tentativo di rendere, dal ceco all’italiano, un effetto equivalente
- di incorrere in un’ipertraduzione o in soluzioni perifrastiche troppo numerose.
Raffaella Belletti
pag. 2 Nota del Redattore, Dori Agrosì
Bellissimo libro in cui ogni descrizione di fatti, persone e luoghi riporta l’immaginario
verso un mondo antico e rude. Želary è un piccolo villaggio, chiuso e sperduto
tra le montagne morave della Repubblica Ceca. Da questo libro composto da una
serie di racconti ambientati a Želary è stato tratto un film che narra la storia
descritta dall’autrice nel romanzo successivo, La moglie di Joza, e anche qui tutto si svolge a Želary. Vale la pena perciò parlare anche dell’adattamento
dei due testi in un’unica sceneggiatura destinata al grande schermo. Con questo
film, che ottiene una Nomination agli Academy Awards come migliore pellicola in
lingua straniera, anche l’autrice Kvéta Legátová (pseudonimo di Vera Hofmanova,
1919) raggiunge la notorietà internazionale.
I protagonisti del film sono un’infermiera, Eliska, e un chirurgo che nella Praga
degli anni Quaranta lottano per la sopravvivenza contro la spietatezza della seconda
guerra mondiale. Entrambi militano nel rischioso movimento di resistenza e quando
vengono scoperti l’uomo è costretto
alla fuga mentre la donna deve trovare un rifugio in cui nascondersi. Casualmente
un suo ex paziente che proviene da un lontano villaggio di montagna, Želary, in
cui il tempo sembra essersi fermato al Settecento o ancora prima, offre un rifugio
a Eliska che per mimetizzarsi deve necessariamente diventare sua sposa.
Siamo negli anni Quaranta, i nazisti hanno appena occupato Praga. Eliska non
è riuscita a terminare gli studi in medicina poiché i tedeschi hanno chiuso le
università. Affronta quindi la prima rassegnazione lavorando come infermiera,
ripiego che crede momentaneo, nell’attesa del dopoguerra. In realtà la guerra
porterà Eliska a cambiamenti radicali. Per sfuggire all’immoralità nazista non
ha altra alternativa più immediata se non quella di accettare la proposta di fuggire
con l’ex paziente, lasciare l’emancipata e sofisticata vita cittadina di Praga
per rifugiarsi a Želary, cambiare identità, diventare Hana e sposare quest’uomo
che in fin dei conti non conosce ma a cui, nella casualità del lavoro e nella
casualità dell’emergenza, Eliska aveva prestato soccorso, donandogli il proprio
sangue. Lui, Joza, si sente perciò in obbligo di doverle restituire il favore,
aiutandola a fuggire, raggiungendo Želary, da cui lui stesso proviene. La differenza
tra la città di provenienza
di lei, giovane donna colta, e il villaggio di provenienza di lui, uomo di mezza
età, gigante buono e taciturno che la protegge, è smaccata. Anche e persone sono
smaccatamente differenti. Loro sono entrambi in fuga, elemento che li aiuta pian
piano a stabilire una forma in bilico tra vicinanza e appartenenza, un legame
forte a cui aggrapparsi per combattere la reciproca paura e diffidenza, l’antagonismo
tra Eliska/Hana e Joza. Un legame forte che nasce dalla comune lotta per la sopravvivenza.
Parallelamente ai due protagonisti, anche Želary trova un proprio primo piano
da protagonista, bellissimo angolo di mondo in cui tutto vive in armonia con la
natura e le sue leggi spesso severe e senza tempo, a cui l’uomo non può sottrarsi
ma piuttosto rassegnarsi e rispettare.
Eliska, riesce con tenacia a seguire e imparare questa nuova vita con la stessa
passione con cui si potrebbe imparare una lingua straniera. E anche lui, Joza,
deve (ri)adattarsi. La sua vita è completamente stravolta insieme a una donna
così diversa in un mondo così diverso. La stessa piccola comunità di Želary è
a tratti altrettanto insopportabile quanto la paura
da cui i due sono dovuti fuggire.
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