
TRADUTTORAMA
SPECIALE ALBO - Una professione libera o una professione qualificata?
di: Monica Cainarca
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Tempo fa mi capitò di leggere il divertente resoconto delle perplesse reazioni
di un impiegato comunale di fronte a un collega che, al rinnovo della carta d'identità,
chiedeva che alla voce "professione" venisse riportata la dicitura "traduttore":
se non è negli elenchi ufficiali, non c'è alternativa al generico "libero professionista".
Anche banali episodi di questo tipo rendono tangibili gli effetti del mancato
riconoscimento di un mestiere non certo nuovo o sconosciuto.
Il lavoro svolto da traduttori e interpreti ha un valore evidente per la comunicazione,
il commercio e l'innovazione tecnologica, ma non è solo l'apprezzamento di questo
ruolo di interesse pubblico a motivare la richiesta di un riconoscimento giuridico,
come sancito per le "professioni intellettuali" dalla Costituzione e dal Codice
Civile. L'esigenza principale è molto concreta: garantire che chi svolge quella
professione abbia le qualifiche e le competenze fondamentali, a tutto vantaggio
di clienti e consumatori finali.
Nell'attuale ordinamento italiano, le professioni riconosciute sono quelle regolate
tramite Ordini e Albi. Non è un sistema unico al mondo, anzi, il principio di
regolare certe professioni con competenze specifiche e di interesse pubblico è
sancito e applicato in forme diverse in molti Paesi, sia europei che extra-europei.
Possesso di titoli di qualificazione, svolgimento di un periodo di praticantato,
superamento di un esame di abilitazione: questi sono i requisiti per poter svolgere
professioni riconosciute.
La richiesta di applicare criteri di abilitazione anche per interpreti e traduttori
non nasce solo dall'esigenza di un riconoscimento già conferito ad altre categorie,
ma dal desiderio di tutelare la specificità propria di una professione portatrice
di sapere e competenze tecniche.
Anche in Gran Bretagna, il noto Institute of Linguists sta chiedendo il riconoscimento
tramite charter, per essere abilitato come ente professionale di riferimento per
la categoria e stabilire quindi norme per l'accesso e l'esercizio della professione
nell'interesse pubblico, come già avviene nel settore medico, legale o contabile.
Libera non vuol dire infatti non qualificata. Riconoscere l'importanza di qualifiche
e competenze non equivale però a irrigidire il mercato o eliminare la concorrenza.
La creazione di un ordine professionale lascia interamente ai singoli professionisti
la libertà di decidere quali tariffe applicare: un albo si limiterebbe infatti
a proporre, non imporre, tariffe minime indicative per la categoria, senza impedire
un'effettiva concorrenza tra professionisti qualificati.
Una sana competitività non può che trarne beneficio.
La pura concorrenza da sola, infatti, non è sufficiente a garantire standard
di qualità in una professione che chiunque può intraprendere senza alcun requisito.
D'altra parte, un albo non imporrebbe restrizioni assolute in questo senso: potrà
comunque accedervi anche chi non ha conseguito titoli di studio specifici alla
traduzione e all'interpretariato, purché abbia maturato sufficiente esperienza
professionale sul campo.
L'unica "libertà" verrebbe quindi tolta a chi si improvvisa traduttore o interprete
senza alcuna qualifica, senza alcuna esperienza, senza alcun interesse a rispettare
una deontologia professionale, né a sottoporsi a un esame di abilitazione. L'assenza
di criteri è un danno per i clienti e un limite alla vera autonomia e dignità
di una professione tanto rilevante.
Monica Cainarca
pag. 2 Monica Cainarca
Laureata in inglese e tedesco con un master in letteratura
anglo-irlandese presso lo University College di Dublino, traduce
dall'inglese dal 1999.
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