Contatti: ndt@lanotadeltraduttore.it |
 |
|
 |

ROMANZO
Cielo di sabbia
di: Sudabeh Mohafez
/ editore: Keller, 2012
traduttore: Anna Ruchat con le allieve della Fondazione Milano Lingue, Chiara Marelli, Jennifer Perletti, Martina Gorni, Valentina Sironi - Traduzione dal tedesco
Da parecchi anni sperimento, presso il dipartimento di lingue della Fondazione
Scuole Civiche di Milano, l’insegnamento della traduzione come atelier. Nel quadrimestre
febbraio-maggio 2011 con quattro studentesse del master di traduzione (Jennifer
Perletti, Chiara Mareli,Valentina Sironi, Martina Gorni) abbiamo “adottato”, grazie
anche alla disponibilità dell’editore Keller, il libro di Sudabeh Mohafez Wüstenhimmel Sternenland. La raccolta di racconti si adattava particolarmente al nostro scopo, non solo
perché i racconti stessi sono un genere che si può facilmente suddividere tra
più persone in quanto ogni racconto è un’unità finita, ma anche per la lingua
della scrittrice iraniano-tedesca che, se è molto semplice da un punto di vista
lessicale e sintattico, non lo è sul piano semantico per il peso che conferisce
all’espressività del discorso (nei racconti brevi tutto ruota intorno a un dettaglio
che, grazie alla ripetizione e alla variazione sul tema, e della paratassi, viene
fatto “esplodere”). Abbiamo dunque scoperto insieme, con le studentesse del master,
nel corso della traduzione del primo (il secondo dell’edizione italiana) e del
secondo (terzo) racconto, avvenuta in classe, il modo in cui, nella scrittura
di Sudabeh Mohafez che sta a cavallo tra due lingue, due culture e due continenti,
si combinano un sentire onirico, da “mille e una notte”, con una lingua, quella
tedesca, che per molti versi “imbriglia” il pensiero ma per altri consente di
mantenere quell’indeterminatezza, quello stare sui traumi, su pesanti segreti,
con la spietata vaghezza del sogno, che è la cifra di Sudabeh Mohafez in questo libro. Una vaghezza che
l’italiano però a volte rifiuta: addirittura eclatante l’esempio del penultimo
racconto L’ultima prospettiva valida in cui non è chiaro, in tedesco, se il protagonista sia uomo o donna. L’ambiguità,
favorita dall’uso tedesco dei pronomi, non si può però conservare in italiano
dove siamo state costrette (consenziente l’autrice, suo malgrado) a rivelare fin
dalle prime righe l’identità del protagonista.
Riconoscere e imparare a rispettare la realtà vaga e sfumata dei racconti di
Sudabeh Mohafez e trovare una misura congrua che potesse restituire in italiano
la lievità dell’autrice, è stato dunque il lavoro preliminare, compiuto in classe.
A ciascuna delle studentesse è stato poi affidato un racconto da tradurre durante
l’estate. Ognuna ha così avuto modo di lavorare a casa sul proprio racconto, ottenendo
poi un riscontro fin dalla fine di agosto, quando sono iniziate le revisioni e
le riletture reciproche tese a uniformare il lessico e soprattutto il tono del
libro. Abbiamo avuto ancora la possibilità, all’inizio del nuovo anno accademico,
di rivedere insieme le bozze finali e di fare un riscontro sul glossario delle
parole in persiano usate da Sudabeh Mohafez soprattutto in quello che nell’edizione
italiana è diventato il primo racconto, e che si svolge a Teheran.
Anna Ruchat
|
|
 |