
ROMANZO
Aloma
di: Mercè Rodoreda
/ editore: La Nuova Frontiera, 2012
traduttore: Giuseppe Tavani - Traduzione dal catalano
Tradurre i romanzi di una autrice di statura culturale e di ricchezza espressiva
come Mercè Rodoreda non è soltanto una sfida che, come sempre, il traduttore è
immancabilmente destinato a perdere, a causa della pratica impossibilità di disporre
nella lingua di arrivo degli stessi registri linguistici messi in opera dallo
scrittore nella lingua di partenza; è anche, e soprattutto, un impegno del traduttore
– consapevole delle sue inevitabili limitazioni e dunque della caducità del suo
lavoro – a contribuire, con risultati sempre discutibili ed esponendosi a rischi
che vanno in ogni caso affrontati, alla circolazione delle opere dell'ingegno
al di fuori dello spazio in cui sono state pensate ed elaborate, perché ne possano
fruire anche i lettori di altra lingua non in grado di accedere all'originale.
Il vecchio detto che tradurre è impossibile ma necessario non vale solo nel caso
che le due lingue siano intrinsecamente (strutturalmente) distanti, ma anche quando
si tratti di modalità appartenenti allo stesso ceppo, in larga misura comparabili
e compatibili (come catalano e italiano) dal punto di vista del sedimento storico
che ha presieduto alla loro formazione. Perché il traduttore non è mai destinato
a misurarsi con «una» lingua – che comunque dovrà conoscere perfettamente nelle
sue caratteristiche costitutive – ma con «la» lingua di quel determinato autore
e di quel determinato testo.
Nel caso specifico, la difficoltà principale nel tradurre la Rodoreda non sta
nel trasporre nel modo migliore possibile il discorso originario, quanto nell'individuare
le sfumature di quel discorso: l'autrice non adotta quasi mai la lingua d'uso,
ma la modula in funzione del personaggio narrante. E questo implica la necessità
per il traduttore di trovare – nelle pieghe della propria consapevolezza linguistica
–, modalità espressive analoghe: ma mai identiche. Il peggior torto che possa
essere fatto all'autore (e di riflesso al lettore secondo) è di tradurre alla lettera il suo discorso – e non di reperire nella propria
competenza sintagmi o catene testuali che comunichino al suo lettore le stesse
sensazioni ed emozioni (o quasi) che il testo di partenza ha saputo comunicare
al lettore primitivo. È indubbio che il rischio di scadere se non nel ridicolo,
certo nell'improprio, è sempre in agguato. E questo ancor più nel caso della Rodoreda,
i cui romanzi sono in buona parte pesudo-diari della protagonista, con interventi
sporadici dell'autrice: e le protagoniste sono – tranne nel caso di Giardino sul mare – donne di limitata cultura, a volte poco più che alfabetizzate, che usano –
o meglio, per le quali l'autrice mette in campo – una lingua scarsamente articolata
dal punto di vista stilistico, ma ricca di espressioni colloquiali – anche con
venature localistiche – intraducibili alla lettera, senza scadere nel risibile.
Nel caso della Rodoreda, dunque, per il traduttore la difficoltà più rilevante
sta nella scelta – la più oculata possibile – di espressioni della lingua di arrivo
che dicano, certo, quel che l'autrice ha voluto dire (e mai, dico mai, altro)
ma in forme proprie del linguaggio colloquiale di arrivo, cioè che risultino familiari
e comprensibili al lettore della traduzione.
Nel caso di Aloma, il problema permane, anche se in misura diversa che negli altri romanzi della
Rodoreda. Aloma è una donna semplice, non istruita ma abbastanza alfabetizzata,
lettrice appassionata di romanzi rosa e che manifesta spesso la tendenza ad usarne
la lingua e in una certa misura ad adottare gli atteggiamenti delle sue eroine
anche nella condotta privata e nelle relazioni con gli altri personaggi. Ma non
si tratta di uno stile narrativo, il suo, compattamente riconducibile ai modelli,
bensì di uno stile variegato e composito, in cui talvolta prevale una modalità
semi-alta, altre volte la dominante si accosta più nitidamente al linguaggio corrente.
E non di rado la miscela varia di intensità in un verso o nell'altro, a seconda
che la narratrice Aloma riferisca suoi pensieri e sue riflessioni o riporti quelli
del fratello, della cognata, del nipotino, dell'amante. Di questa miscela, delle
sue variazioni, il traduttore deve tener conto e deve rendere conto al suo lettore.
Anche se sa bene che la sua traduzione, come ogni traduzione, è destinata – al
contrario dell'originale – a invecchiare ineluttabilemte e a essere prima o poi
sostituita.
Giuseppe Tavani
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